domenica 25 settembre 2016

La caduta della casa Usher (1928)



Roderick Usher, un nobile preoccupato per la sempre più cagionevole salute della moglie assistita notte e giorno dal suo medico personale, invita l’amico Allan presso la sua sinistra magione. Questi riesce a raggiungere la meta malgrado la riluttanza della popolazione locale e  cerca di dare conforto all’amico che nel frattempo, buttatosi anima e corpo nella passione della pittura, sta dipingendo un ritratto della consorte. Quest’ultima però sembra perdere forza vitale ad ogni pennellata.


Dopo Belfagor, rimaniamo in terra francese per raccontare un’opera completamente diversa. La Chute de la Maison Usher è forse, con buona pace di Roger Corman, la miglior trasposizione cinematografica di un racconto di Edgar Allan Poe, anche se sarebbe più corretto usare il plurale. La Casa Usher del titolo, infatti, non è l’unico lavoro dello scrittore originario di Boston a essere, non troppo fedelmente, omaggiato, perché nella trama è innestata anche buona parte del Ritratto Ovale (la moglie che deperisce sempre più al progredire del dipinto); si rinvengono pure influssi di Ligeia (la resurrezione), mentre le teorie del magnetismo studiate da Roderick per tentare di guarire la consorte rimandano evidentemente a Rivelazione Mesmerica e al Valdemar. Autore della sceneggiatura, oltre al regista Jean Epstein, è un allora giovane spagnolo destinato a lasciare un’impronta importante nella storia della settima arte: Luis Buñuel, fresco di trasferimento a Parigi per seguire Salvador Dalì e gli altri surrealisti che aveva conosciuto all’Università di Madrid. Buñuel che, salvo un paio di brevi comparsate da attore, era praticamente all’esordio nell’ambiente. Più esperto era invece Epstein, alfiere e teorico del cinema avanguardista francese, nonché poeta e romanziere, che con questo film firmò il suo personale capolavoro. La Caduta di Casa Usher stupisce per freschezza e visionarietà e per come riesce a spremere fino all’ultimo le potenzialità del muto la cui fine era ormai prossima. Si tratta di un’opera sperimentale per i tempi, con un uso quasi moderno della macchina da presa, che riesce a creare un’atmosfera spettrale, malinconica, da fine imminente, per mezzo delle riprese sia in esterna (gli alberi spogli sferzati dal vento, il maniero avvolto dalla nebbia) che negli interni (le carrellate dei corridoi claustrofobici e decadenti, l’algido salone principale, l’ectoplasmatico sventolio delle tende), alternando campi lunghi e primi piani sofferti. Epstein riesce a superare diversi limiti tecnici dell’epoca, regalando inquadrature insolite e innovative che verranno riprese in seguito da altri cineasti, anche in periodi imprevedibilmente recenti. Certo, esposizioni multiple e sovrapposizioni si erano già viste, ma, per esempio, inusuale, anche se già inventato un paio di decenni prima, è l’impiego dello slow-motion per sottolineare la drammaticità di alcuni passaggi della vicenda e per condurre lo spettatore in uno stato di trance simile a quello di cui finisce vittima la moglie di Roderick. Epstein concentra tutti i suoi sforzi sull’immagine anziché sul racconto, che in certi momenti sembra infatti procedere per inerzia, riuscendo così paradossalmente ad essere più fedele al mood onirico e ipnotico delle opere di Poe di quanto non lo sia la sceneggiatura. Tra gli attori, da ricordare l’interpretazione intensa e allucinata di Jean Debucourt nei panni del padrone di casa.


Un film sorprendentemente affascinante e raffinato, per certi versi rivoluzionario. 

Reperibilità: Ottima. In DVD e Blu-Ray si trovano numerose edizioni, tra cui quella italiana della Dynit DCult. E’ inoltre liberamente visionabile su Youtube.

Titolo: La Chute de la Maison Usher
Produzione: Francia (1928), b/n, muto, 61 minuti
Regia: Jean Epstein
Cast: Jean Debucourt, Margheurite Gance, Charles Lamy, Fournez-Goffard


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