lunedì 16 maggio 2016

Il Pensionante (1927)



Un serial killer auto-proclamotosi “Il Vendicatore” imperversa nelle nebbiose notti londinesi. Le sue vittime sono ragazze bionde, sui corpi delle quali lascia un biglietto raffigurante un triangolo e la sua firma. Una testimone afferma di aver visto, su uno dei luoghi del delitto, un uomo alto, con mantello e borsa neri e una sciarpa a coprirgli la faccia. Una sera, una persona corrispondente alla descrizione si presenta a casa dei coniugi Bunting che offrono in affitto una stanza. Daisy, la loro figlia, è una ragazza bionda, fidanzata con il poliziotto a cui è stato affidato il caso del “Vendicatore”, ma che sembra subire il fascino del misterioso pensionante..

Primo vero film del maestro Hitchcock (lui stesso lo definì tale, nonostante fosse già il terzo), ai tempi reduce dall’esperienza tedesca che lo portò a lavorare al fianco di registi del calibro di Murnau e Lang; un’occasione per lui molto importante, come l’influenza che l’espressionismo tedesco finì per esercitare sul suo modo di fare cinema. Benché la pellicola sia datata e risalga ai tempi del muto, reca però già le stimmate della poetica hitchcokiana. Compaiono alcuni temi che diverranno ricorrenti come l’innocente accusato ingiustamente, l’ambiguità di un personaggio che non si sa chi sia o non è chi dice di essere, l’irruzione della suspense e del mistero in un contesto quotidiano e tranquillo, la crudeltà del caso. Poi Hitch inaugura qui un altro dei suoi marchi di fabbrica: il cameo, tradizione che lo vedrà fare una comparsata in tutti i suoi film successivi. Si nota già, inoltre, una cura maniacale per i dettagli e soprattutto per la fotografia, con giochi di specchi e di luci ed ombre che rimandano proprio all’espressionismo. 

E si può già ammirare la bravura del regista nel creare momenti di assoluta tensione, tanto corali, come il panico che si propaga virulento per Londra a seguito dei delitti, quanto intimistico, tratteggiato con pochissimi particolari, come nella scena dell’attizzatoio, che poi vengono rovesciati quasi a beffare lo spettatore. Anche nel finale assistiamo a un twist inaspettato, pur lasciando un pizzico di delusione nel liquidare la figura del “Vendicatore”; quest’ultimo si rivela essere nient’altro che un mero espediente narrativo per muovere il triangolo amoroso che sta al centro della storia e il gioco di equivoci che gli gira intorno come una giostra, tant’è che il vero assassino viene catturato dalla polizia ma non ci viene mostrato, né la sua identità rivelata. D’altronde il film è la trasposizione del romanzo The Lodger di Marie Belloc Lowndes, uno dei primi libri a cercare di dare una soluzione (lasciando però il dubbio) ai delitti di Jack lo Squartatore, a cui la figura del Vendicatore è ispirata, anche se le vittime preferite dal killer qui sono ballerine anziché prostitute. Il libro aveva già avuto una riduzione teatrale molto apprezzata, Who is he? che lo stesso Hitchcock aveva applaudito, decidendo di portare la vicenda sul grande schermo. E dal mondo del teatro arrivava uno dei protagonisti, il gallese Ivor Novello, molto bravo nel vestire gli ambigui panni dell’inquilino di casa Bunting e che ebbe una carriera longeva e variegata anche al di là del periodo del muto, non solo come attore, ma anche come sceneggiatore, autore teatrale e compositore. Praticamente una meteora fu invece June Howard Tripp, accreditata solo come June, da annoverare tra le protagoniste femminili meno memorabili dell’epopea hitchcockiana. Le scene notevoli sono parecchie, girate con classe e inquadrature ricercate: dal pensionante che cammina avanti indietro per l’appartamento provocando il dondolio del lampadario sottostante  al linciaggio della folla inferocita. Ma è l’atmosfera di una Londra immersa nella nebbia la vera carta vincente del film che ebbe un successo strepitoso in terra britannica, ricevendo anche numerosi consensi dalla critica e lanciando la carriera del regista.
Prima vera tappa per conoscere ed apprezzare il cinema del grande Hitchcock.
Curiosità: il romanzo della Lowndes, già di grande successo a partire dalla sua pubblicazione avvenuta nel 1913, ebbe innumerevoli trasposizioni teatrali, radiofoniche (uno sceneggiato che annoverava Peter Lorre tra gli interpreti vocali) e cinematografiche. Tra queste ultime, da menzionare il remake sonoro della pellicola di Hitchcock, sempre con Ivor Novello protagonista, per la regia di Maurice Elvey.

Reperibilità: Ottima. Per l’home video c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra versioni italiane ed estere, tra cui da segnalare una completissima edizione (import) Blu-Ray a doppio disco distribuita dall’etichetta inglese Network. E’ liberamente visionabile su youtube (per vederlo integrale dovete cercarlo con il titolo originale).

Titolo: The Lodger: A Story of the London Fog
Produzione: Regno Unito (1927), b/n, muto, 74 minuti
Regia: Alfred Hitchcock
Cast: June Howard Tripp, Ivor Novello, Malcolm Keen, Marie Ault


lunedì 9 maggio 2016

Il castello degli spettri (1927)



L’eccentrico milionario Cyrus West, ormai prossimo alla morte e trascinato sull’orlo della follia al pensiero dei parenti che gli ronzano intorno in attesa di impossessarsi dei suoi averi, redige un testamento che non potrà essere aperto prima di vent’anni dal suo decesso. Due decenni dopo, i papabili chiamati all’eredità si radunano presso il castello del defunto West per la lettura delle sue ultime volontà. L’erede designata è la giovane Annabelle, ma a condizione che un medico attesti la sua sanità mentale. Nel frattempo pare che nel maniero si aggirino alcuni fantasmi e un maniaco sanguinario soprannominato “Il Gatto”. 

Il Castello degli Spettri è uno dei capostipiti del sottogenere “Old Dark House”, la cui paternità, come abbiamo già avuto modo di approfondire, è probabilmente da ascrivere a Roland West, con il suo The Monster (1925). Gli ingredienti tipici ci sono tutti: un gruppo di persone riunite in una sinistra magione apparentemente infestata, i passaggi segreti, elementi comici mischiati a quelli drammatici e orrorifici, personaggi fifoni che poi vincono le loro paure risolvendo l’enigma, la finta pista soprannaturale, ecc.. I debiti ai film di Roland West (di cui, sarà un caso, porta il cognome anche la protagonista) non si fermano: come in The Bat, anche qui abbiamo un assassino mascherato da animale, “Il Gatto”, anche se in realtà il suo make-up, mani a parte, fa più pensare a un cinghiale. Malgrado i pesanti riferimenti, Il Castello degli Spettri è però un’opera decisamente più riuscita di quelle a cui si ispira. Merito probabilmente del regista, Paul Leni, che la Universal volle portare negli Stati Uniti dopo il successo del Gabinetto delle Figure di Cera

Leni, già esponente di spicco del movimento espressionista tedesco, mise a frutto l’esperienza maturata in Germania, con diverse scelte estetiche apprezzabili: la mano artigliata che in più occasioni minaccia Annabelle, i giochi di ombre, le doppie esposizioni, frutto dell’armamentario tecnico-visivo tipico dell’espressionismo, il trucco pesante e inquietante di alcuni personaggi (il medico, ennesima variante di Caligari). Il regista dimostra, però, di non guardare solo al passato; si nota un linguaggio cinematografico più moderno e più vicino, se vogliamo, alla sensibilità americana, che traspare dall’attenzione per i dettagli e i primi piani, dal dinamismo dell’azione e dalle originali didascalie. Leni, forse, si sarebbe integrato nell’industria a stelle e strisce con maggiore facilità rispetto ai suoi colleghi connazionali, se non fosse stato stroncato dalla setticemia, appena due anni più tardi. Già il prologo, con il milionario circondato da enormi bottiglie e minacciato dalla sovrimpressione di un gatto gigantesco e minaccioso, è il perfetto manifesto di quello che il film promette: ironia, paura ed effetti speciali. Il cast, composto da attori che per la maggior parte verranno pensionati dall’avvento del sonoro, non è particolarmente memorabile (a parte l’esperto Tully Marshall nei panni del notaio Crosby), anche perché chiamato ad interpretare stereotipi, più che personaggi complessi. E’ un peccato che l’accompagnamento musicale non sia all’altezza, unico difetto di una pellicola godibile ancora oggi.
Curiosità: Il film è tratto da una piéce teatrale di successo di John Willard, trasposta anche in seguito su grande schermo. Possiamo ricordare, tra le tante, la trasposizione del 1930 ad opera dello stesso Willard (in collaborazione con Rupert Julian) con The Cat Creeps, e relativa coeva variante spagnola La Voluntad del Muerto di George Melford, e quella del 1939 Il fantasma di Mezzanotte diretto da Elliott Nugent.

Reperibilità: Ottima. E’ liberamente visionabile su Youtube. In DVD sono disponibili ben 2 edizioni italiane, una recente (2015) ad opera della Dinyt-Ermitage, e un’altra della DCult, a prezzi accessibilissimi.
Titolo: The Cat and the Canary
Produzione: USA (1927), b/n, muto, 80 minuti (108 in origine)
Regia: Paul Leni
Cast: Laura La Plante, Creighton Hale, Tully Marshall, Gertrude Astor

martedì 3 maggio 2016

Lo Sconosciuto (1927)



Alonzo è un uomo privo di braccia che si esibisce in un circo come lanciatore di coltelli coi piedi, segretamente innamorato della bella Nanon, sua partner nello spettacolo. La ragazza, figlia del proprietario del circo, è corteggiata anche dal forzuto Malabar, di cui rifiuta le avances perché soffre di una fobia che la porta a detestare il contatto fisico con le mani degli uomini e a odiare di essere abbracciata. Alonzo, però, nasconde un terribile segreto..


Tod Browning e Lon Chaney nuovamente insieme. I due si erano incontrati la prima volta nel 1919 sul set de La Bestia Nera, melodramma ambientato nel mondo della malavita, e il loro fortunato sodalizio continuò durante gli anni venti, con una serie di pellicole, alcune delle quali rientranti nell’oggetto di questo blog, come Il fantasma del Castello (di cui abbiamo appena parlato) e, appunto, Lo Sconosciuto. Browning era sempre stato affascinato dall’ambiente circense che frequentò anche di persona durante gli anni giovanili, esibendosi come clown, illusionista e altri ruoli minori. Quest’esperienza segnò profondamente la sua attività artistica, tant’è che il mondo del circo fa da sfondo a più di uno dei suoi film, a partire dal Trio Infernale (1925) per arrivare al suo capolavoro Freaks (1932) di cui Lo Sconosciuto è considerato una sorta di precursore. Tuttavia sarebbe riduttivo ritenerlo tale, se non a livello meramente storico. Certo, all’epoca della sua uscita non godette di grande credito presso la critica, salvo poi essere rivalutato, come spesso accadde alle opere di Browning, soltanto in tempi relativamente recenti. 

La carta vincente, ancora una volta, è Chaney qui autore di una delle migliori interpretazioni della sua carriera, anche se stilare una classifica è difficile. Di fatto possiamo ammirare il suo volto “libero” da trucco una volta tanto, capace di dare vita a un personaggio apparentemente dolce e sensibile, ma che in realtà nasconde una malvagità smisurata, solo in parte trattenuta dall’amore per la bella Nanon. La sua trasformazione è limitata, stavolta, al corpetto indossato per nascondere gli arti superiori, visibile anche durante il film, mentre i suoi piedi “animati” sono presi in prestito da una controfigura, Peter Dismuki, autentico lanciatore di coltelli privo di braccia. In questo film Chaney dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che non era certo il make-up a rendere credibili le sue interpretazioni, ma la sua eccezionale bravura d’attore incensata anche da Joan Crawford (che, allora giovanissima, vestì i sensuali panni di Nanon) che dichiarò in seguito di aver imparato più da lui in questo film che da chiunque altro nella sua carriera. E’ doveroso dire che non siamo di fronte propriamente a un horror, bensì a un dramma dalle tinte fosche e con implicazioni romantiche. Il regista traccia un parallelo ben definito tra Amore, Odio e Morte. Alonzo è disposto a tutto per il suo desiderio: uccide, ruba, ricatta; il suo è un sentimento impuro. Non è la deformità fisica, ma quella d’animo, ben celata, il vero fattore scatenante di eventi nefasti, concetto che non sfuggirà ad altri autori, anche in campo letterario, tra cui mi piace ricordare Tiziano Sclavi che ne farà un suo cavallo di battaglia tanto in Dylan Dog, quanto in alcuni dei suoi romanzi. Sono sottintese anche implicazioni psicanalitiche ed erotiche nella fobia di Nanon per le mani e nella decisione di Alonzo di farsi amputare le braccia. Il finale è adrenalinico e quasi si teme (o si tifa, a seconda dei punti di vista) una conclusione splatter. Per quanto riguarda il resto del cast, da citare la presenza di Norman Kerry, anch’egli collega “abituale” di Chaney di cui era già stato rivale in amore nel Fantasma dell’Opera.

In conclusione, un’opera eccellente, poco conosciuta, assolutamente da riscoprire.

Curiosità: La versione che oggi possiamo ammirare manca di alcune scene, per un totale di circa un quarto d’ora di pellicola, in quanto trattasi di copia incompleta ritrovata sul finire degli anni 60. In precedenza ne circolava una copia di durata ancora inferiore.


Reperibilità: Buonissima. In DVD è disponibile anche un’edizione della Ermitage, con intertitoli in Italiano, a prezzi contenuti. 

Titolo: The Unknown
Produzione: USA (1927), b/n, muto, 63 minuti (49 versione attuale)
Regia: Tod Browning
Cast: Lon Chaney, Norman Kerry, Joan Crawford, John George

domenica 1 maggio 2016

Il fantasma del castello (1927)



Un uomo, Roger Balfour, viene ritrovato morto, nella sua casa di Londra,  per un colpo di pistola alla testa. L’ispettore Edward Burke, giunto sul posto, archivia il caso come un suicidio, per via di un biglietto di addio rinvenuto vicino al cadavere. Cinque anni dopo la casa di Balfour ha dei nuovi inquilini: un uomo e una donna molto inquietanti, dall’aspetto quasi vampiresco. L’ispettore ritorna quindi sul luogo del delitto, deciso a fare chiarezza una volta per tutte sulla morte di Balfour, la cui tomba viene ritrovata vuota..


Il Fantasma del Castello, ma meglio sarebbe chiamarlo con il suo più accattivante titolo originale London After Midnight, oggi si può definire un “non film”. L’ultima copia ritenuta esistente della pellicola andò infatti distrutta nel 1967, in un incendio che coinvolse un deposito della Metro-Goldwyn-Mayer. Nel 2002 la rete televisiva Turner Classic ne commissionò una versione restaurata, utilizzando circa 200 foto di scena e lo script originale, scampati miracolosamente al rogo; in pratica si tratta di una carrellata di immagini statiche, all’occorrenza zoomate e intervallate dalle didascalie che ricostruiscono parzialmente la trama. Questo è tutto ciò che oggi ci rimane di un film che, nei decenni, ha saputo conquistarsi la fama di cult assoluto. Eppure all’epoca dell’uscita nelle sale cinematografiche, il successo fu molto buono ma non eclatante; venne ritirato dalla distribuzione relativamente presto e la critica americana non lo accolse nel migliore dei modi, sebbene all’epoca Browning fosse già un regista apprezzato e Chaney una star di primissimo livello (i 2, tra l’altro, avevano già lavorato insieme diverse volte). 

Ma è proprio Chaney a consegnare London After Midnight al mito, grazie al personaggio del “vampiro”, una spettacolare maschera di morte, inquietante e spaventosa, che è impossibile dimenticare: postura gobba, volto ghignante, occhi spiritati, denti aguzzi da pescecane. Dalle foto di scena si può intuire la recitazione gigioneggiante, allucinata, che il grande attore scelse per la parte. Non si divertì di sicuro a truccarsi. Come in altre occasioni, infatti, il make-up fu per lui doloroso: i denti finti erano di un materiale plastico che non era possibile tenere in bocca per più di qualche minuto, inoltre indossò cerchi di metallo agli occhi che pare gli facessero molto male. Il risultato è comunque strabiliante, terrorizzante. Il mito crebbe, poi, negli anni grazie al fiorire di leggende metropolitane che incominciarono a circolare dopo la scomparsa del film nell’incendio del ’67. Numerosi collezionisti si misero alla ricerca di possibili copie superstiti e ancora oggi circolano voci su una fantomatica bobina di cui qualcuno è realmente in possesso, attendendo la scadenza dei diritti d’autore (fissata per il 2022), per poterla mettere sul mercato. Cercando nel web è possibile trovare davvero di tutto: gente che dice di averlo visto passare in TV a notte fonda su improbabili canali satellitari o locali, proiezioni privatissime (con tanto di orge) di ricconi, ecc.. A noi appassionati non rimane altro che sperare che prima o poi salti fuori davvero una copia sopravvissuta. Nel frattempo ci dobbiamo accontentare della ricostruzione della Turner, un’operazione che è più che altro una curiosità per cinefili e non ci permette di dare un giudizio sul film; ci permette però di ammirare ancora una volta la grandezza di Lon Chaney, “l’uomo dai mille volti”.

Curiosità: Lo stesso Browning ne girerà un remake nel 1935, “I Vampiri di Praga”, con protagonista Bela Lugosi. Il costume di scena indossato da Chaney nel film ha ispirato la regista Jennifer Kent per il look dello spaventoso Babadook (2014).

Reperibilità: Nessuna ovviamente. L’unica possibilità è la versione “statica”  in formato ridotto di cui abbiamo parlato, visionabile anche su Youtube.

Titolo: London After Midnight
Produzione: USA (1926), b/n, muto, 69 minuti (in origine. 45 minuti la versione Turner)
Regia: Tod Browning
Cast: Lon Chaney, Marceline Day, Henry B. Walthall, Conrad Nagel