Uno scrittore viene invitato dal
proprietario di un museo delle cere a realizzare alcuni racconti ispirati alla
vita dei personaggi immortalati nelle statue esposte. Il primo, ambientato a Baghdad,
ha per protagonista il califfo Harun Al-Rashid intento a insidiare la giovane
moglie di un fornaio; il secondo è dedicato allo zar Ivan il Terribile che
finisce col cadere vittima della sua stessa sadica passione per le torture.
L’ultimo racconto è in realtà un incubo dello scrittore che sogna di cadere
vittima di Jack lo Squartatore, mentre cerca di fuggire con la figlia del
proprietario del museo.
Se il Caligari di Robert Wiene è
universalmente riconosciuto come il manifesto del cinema espressionista tedesco,
un altro Gabinetto, quello delle Figure di Cera diretto da Paul
Leni, è invece spesso considerato da molti (che probabilmente si dimenticano di
Metropolis di Lang) come il film che
concluse idealmente l’epopea di quel movimento avanguardista. Quel che è certo
è che la pellicola di Leni, rispetto alla cupezza e alla drammaticità rinvenibile
nei lavori dei suoi più illustri colleghi contemporanei, ha uno spirito più
leggero, particolarmente evidente nel primo episodio, quello dedicato al
califfo, connotato da toni quasi comici e fiabeschi, complice anche
l’ambientazione da “mille e una notte”. Si intuisce una ricerca
all’intrattenimento puro più che l’ aspirazione a un risultato artistico,
tendenza che se sottrae qualcosa allo spettatore dal punto di vista narrativo, lo
ripaga in termini di divertimento, grazie al buon ritmo impresso allo
storytelling. I tre racconti, d’altronde, sono proposti in crescendo e si nota
già un deciso cambio di passo tra il primo e il secondo, quello dedicato a Ivan
Il Terribile magistralmente interpretato da un Conrad Veidt spiritato e crudele
al punto giusto.
Ma è il brevissimo, onirico, episodio finale, quello con
protagonista Jack Lo Squartatore, a spingere il film in pieno territorio horror
e ad alzare il livello fino a sfiorare le vette più alte dell’Espressionismo:
un incubo angosciante, visivamente straordinario grazie all’utilizzo di filtri
e della tecnica della doppia esposizione, un caleidoscopio spiazzante dove si
mescolano realtà e fantasia. Nel complesso notevoli i costumi e soprattutto le
scenografie, deformate e barocche, che ripropongono lo stile allucinato in voga
all’epoca, spiccando in particolare, anche per quanto riguarda gli interni,
nell’ambientazione esotica di Baghdad. Molto buono il cast, in particolare un
irriconoscibile Emil Jannings nei panni extra-large di Harun Al-Rashid e il
solito grandissimo Veidt. La regia di Leni, invece, è più convenzionale rispetto
a quella dei suoi colleghi connazionali, ma comunque convincente e al passo coi
progressi tecnici dell’epoca: stupisce, tra i tanti espedienti utilizzati, la
scena in cui l’immagine sconvolta del fornaio si riflette nei tanti esagoni di
cui si compone la pietra preziosa che orna l’anello del Califfo. Rimane, forse
poco sfruttata (finale a parte) la “cornice” ambientata nel museo delle cere,
che avrebbe potuto regalare un contesto più inquietante a chiusura dei 3
racconti.
In
conclusione, una pellicola piacevole, visivamente affascinante e capace di
fondere macabro e grottesco, pur rappresentando un’opera minore all’interno di
quello straordinario luna park dell’orrore che fu l’Espressionismo tedesco, in
cui, comunque, ha piena cittadinanza l’incubo di Jack lo Squartatore.
Curiosità: Il
film, noto anche con il titolo di Tre
Amori Fantastici, doveva prevedere in origine anche un quarto episodio
dedicato al romanzo d'avventura Rinaldo Rinaldini (opera di Christian August Vulpius, cognato di Goethe), poi non realizzato per problemi di budget.
Reperibilità: Buona. Esistono
diverse edizioni DVD, anche italiane, tra cui segnalo quella della DCult che ne
propone la versione restaurata a prezzo decisamente accessibile.
Titolo: Das
Wachsfigurenkabinett
Produzione:
Germania (1924), b/n, muto, 83 minuti
Regia: Paul Leni
Cast: Conrad Veidt, Emil Jannings, William
Dieterle, Werner Krauss
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