domenica 27 settembre 2015

(Dossier) Gli altri film del 1921



Al di là del Carretto Fantasma, l’annata 1921 ci ha lasciato ben poco altro di intatto. C’è però una manciata di pellicole che, per motivi diversi, mi sembravano meritevoli di segnalazione. La prima di queste è Il Castello di Vogelod (Schloß Vogelöd), uno dei lavori sopravvissuti di F.W. Murnau, che in realtà è un giallo-poliziesco, anche sorprendentemente piuttosto classico; ma, in una scena, uno dei personaggi minori ha un incubo notturno in cui sogna di essere ghermito da un’enorme mano ferina mentre si trova a letto. E’ indubbio che lo spaventoso braccio che appare dalla finestra sia un’anticipazione della figura del Conte Orlok che, l’anno successivo, diventerà un’icona del cinema in assoluto nel capolavoro Nosferatu il vampiro. 
Altro film di interesse è il danese Pagine dal libro di Satana (Blade af Satans Bog) di Carl Theodor Dreyer, altro regista destinato a lasciare, qualche tempo dopo, un segno indelebile nella storia dell’horror su celluloide. Qui siamo su altri lidi: dramma morale a episodi ambientati in epoche differenti e chiaramente ispirato a Intolerance, il kolossal girato 5 anni prima da D.W. Griffith, un esperimento su cui si erano già cimentati Murnau e il nostrano Luigi Maggi (le cui rispettive opere, come abbiamo già avuto modo di dire tempo fa, risultano irrimediabilmente perdute). Del film di Dreyer non è tanto il Diavolo, qui interpretato da Helge Nissen alla sua prima e unica esperienza cinematografica prima di morire suicida nel 1926, a interessarci, ma il secondo atto, quello storicamente collocato nel periodo dell’Inquisizione Spagnola. Le tentazioni e i dilemmi del religioso protagonista, la figura di Satana-Grande Inquisitore, gli incappucciati e la camera delle torture sono gli elementi per cui consiglio di recuperare l’episodio, tranquillamente fruibile anche fuori contesto.
Nel nostro ipotetico viaggio ci spostiamo ora in Italia per parlare de Il mostro di Frankenstein di Eugenio Testa, film di cui purtroppo non è rimasto altro che una singola foto di scena, oltre a qualche locandina promozionale. Perdita importante perché si tratta di uno dei primissimi horror prodotti nel nostro paese, anche se l’attribuzione al genere è da prendere con le pinze; nel cast come protagonista è infatti accreditato l’attore (con un passato da artista circense) Luciano Albertini, noto soprattutto per aver interpretato la parte di Sansone in una lunga serie di pellicole di cui potrebbe far parte anche quest’ennesima versione del “Frankenstein” di Mary Shelley. Qualcuno ipotizza vi fosse un’improbabile commistione di elementi peplum e horror (derivati dal romanzo originale), ma la scarsità di informazioni affidabili impedisce di poter trarre qualunque conclusione. Certo è che anche l’attore che interpretava la creatura, Umberto Guarracino, legò il suo nome al sottogenere peplum e in particolare alle saghe di Sansone e Maciste.

Infine dedichiamo qualche breve cenno a due parodie. In verità l’intento comico all’interno di una finta cornice paurosa non era certo una novità assoluta, essendo già presente e pulsante nei primi cortometraggi realizzati da Georges Mèliés; a distanza di oltre un ventennio, però, le intenzioni dei film di cui ci apprestiamo a parlare appaiono più definite e consapevoli. Restiamo nel nostro Paese (la produzione è italiana) per parlare del primo, L’uomo Meccanico, scritto, diretto e interpretato dal francese André Deed, da noi meglio conosciuto come “Cretinetti”. Nel calderone orchestrato da Deed, che racconta la storia di un robot controllabile a distanza rubato e usato a scopi criminali da una banda di fuorilegge, finiscono in maniera abbastanza ingenua fantascienza, horror e commedia; nei 25 minuti (circa) sopravvissuti dell’opera spiccano la fuga dal carcere di Mado (la capo-banda) e la sfida tra i 2 robot (uno “buono”, l’altro “cattivo”). 

Ci spostiamo infine negli Stati Uniti per l’ultimo titolo della rassegna, La casa dei fantasmi (The Haunted House) cortometraggio interpretato da una delle più grandi star del cinema muto, Buster Keaton, e diretto dallo stesso Keaton in collaborazione con Edward F. Cline. La trama vede un impiegato di banca che, dopo essere stato rapinato, finisce nel rifugio dei banditi, una casa che fanno credere stregata per tenere lontana l’attenzione della gente. Il tema diverrà a suo modo un classico e malgrado i trucchi abbastanza elementari (anche se si fa apprezzare la scena in cui due banditi vestiti da scheletri “ricostruiscono” un uomo a pezzi) il corto diverte non poco grazie alla recitazione sopra le righe di Keaton.

lunedì 21 settembre 2015

Il Carretto Fantasma (1921)



“Secondo un’antica leggenda scandinava, l’ultima persona che muore appena prima dello scoccare della mezzanotte del 31 dicembre è incaricato, per tutto l’anno successivo, di condurre il carro su cui, per ordine della Morte, vengono trasportate le anime dei trapassati. L’ingrato compito tocca a David Holm, malato di tubercolosi, alcolista autodistruttivo e peccatore impenitente con un passato da galeotto e un presente violento verso la moglie, perito a seguito di una rissa”.


L’importanza e l’influenza artistica del Carretto Fantasma sono probabilmente incalcolabili. Il cinema scandinavo gli è debitore, Bergman in particolare ma non solo; penso ad esempio a quanto il personaggio di Edith con la sua bontà e fede smisurati assomigli a quello di Beth delle Onde del Destino di Lars Von Trier. L’imprevisto successo internazionale della pellicola ne sparse poi i semi non solo nel resto d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, spalancando al regista le porte di Hollywood e facendo germogliare insospettabili frutti anche molti anni dopo; su tutti da ricordare Stanley Kubrick, che in Shining replicò, omaggiandola, la scena della porta abbattuta a colpi d’ascia dal marito mentre la moglie cerca di mettersi in fuga. Sjöström, come poi Nicholson, fu bravissimo a dare corpo e volto all’odioso protagonista. Ma i suoi meriti non si arrestano certo alla recitazione, anzi. Partendo dalla trasposizione dell’omonimo romanzo di Selma Lagerlöf, nella cui trama risiedono evidenti elementi dickensiani, il regista seppe realizzare un fortunato connubio tra le influenze dell’espressionismo tedesco (la propensione per il macabro e il surreale, le atmosfere) e quelle realiste tipiche del cinema svedese, riscontrabili anche nella caratterizzazione dei personaggi (tra cui spicca quella, tormentata, della moglie di Holm magistralmente interpretata da Hilda Borgström). Forte è il messaggio moralizzatore lanciato, se pur attraverso il filtro di una religiosità quasi ingenua a rappresentare l’ancora di salvezza, che dipinge una società fredda e ingrata in cui la dignità umana si disgrega, rendendo le persone vittime o carnefici, divise dalla brutalità, accumunate dalla follia.
Al di là del rigore formale e del sottotesto, quello che stupisce davvero del film è innanzitutto la modernità del linguaggio cinematografico. Sjöström opta per un tipo di narrazione tutt’altro che lineare, facendo ampio uso di flashback (e di flashback nel flashback) che sovrappongono in continuazione i piani cronologici della vicenda. E stupiscono poi gli innovativi effetti speciali che rappresentano l’evoluzione ultima della multi-esposizione inventata oltre un ventennio prima da Méliès; incredibile l’illusione quasi tridimensionale dei fantasmi e del lugubre carretto che all’epoca non aveva eguali né simili e che certamente lasciò gli spettatori a bocca aperta, regalando loro un brivido di soprannaturale all’interno di uno straordinario poetico racconto di degradazione e redenzione. Tra le scene più suggestive, da menzionare obbligatoriamente quella in cui l’anima di Holm cerca di rifugiarsi nel suo corpo ormai esanime.
E’ un peccato che questa sia un’opera meno conosciuta e celebrata di altre dello stesso periodo, perché non v’è dubbio che, con la sua portata innovativa, costituisca un tassello imprescindibile nella storia del cinema muto e oltre.

Reperibilità: Ottima. Liberamente visionabile su Youtube. In DVD si trova facilmente l’edizione italiana della Ermitage a prezzi stracciati. Ci sono anche parecchie edizioni straniere per tutti i gusti, anche in Blu-Ray. 

Titolo: Körkarlen
Produzione: Svezia (1921), b/n, muto, 93 minuti
Regia: Victor Sjöström
Cast: Victor Sjöström, Astrid Holm, Tore Svennberg, Hilda Borgström

In coda vi lascio con un video che mette a confronto le due versioni (Sjöström vs Kubrick) della famosa scena dell'ascia.

venerdì 11 settembre 2015

Murnau, i capolavi perduti (3° parte): "Il Gobbo e la Ballerina" e tutti gli altri



Proseguendo il viaggio nella filmografia del cineasta tedesco, anche a fianco del terzo film, Il Gobbo e la Ballerina (Der Bucklige und die Tänzerin), c’è da segnare una casella vuota, in quanto se ne sono perse le tracce dopo l’avvento del Nazismo. Malgrado il titolo faccia pensare all’ ennesima trasposizione non autorizzata di un romanzo, in questo caso il Notre-Dame de Paris di Victor Hugo che nel giro di un ventennio fu adattato per il grande schermo più volte, lo screenplay di Carl Mayer (uno degli sceneggiatori del Caligari) andava a parare da tutt’altra parte: Wilton, un gobbo innamorato della ballerina Gina, regala a quest’ultima dei cosmetici, miscelati ad un veleno che uccide chiunque la baci. Il finale era tragico, come nella migliore tradizione orrorifica. Poco altro si sa. Il protagonista era John Gottowt (lo Scapinelli dello Studente di Praga), il nome più noto del cast, mentre direttore della fotografia era il solito Karl Freund, uno dei grandi della sua epoca (tra i suoi lavori, Il Golem, Metropolis, L’ultima risata e Il Dracula di Tod Browning), nonché vincitore di un Oscar nel 1938. Gli altri titoli perduti della filmografia di Murnau esulano dal genere a cui è dedicato questo blog, per cui mi limiterò a una brevissima carrellata. 
Sera.. notte.. mattino (Abend – Nacht – Morgen)(1920) era un poliziesco con Conrad Veidt, di cui non è rimasta traccia alcuna. Sempre il solito Veidt, nei panni di un ballerino russo che finisce in prigione, guidava il cast di Nostalgia (Sehnsucht) (1921) in cui predominavano elementi drammatico-sentimentali. Marizza, detta la signora dei contrabbandieri (1922) era invece una tragedia in 5 atti con protagonista una zingara interpretata dall’avvenente attrice di origini bulgare Tzwetta Tzatschewa e di cui è stato ritrovato di recente, in una collezione privata, un interessantissimo frammento di 13 minuti restaurato nel 2010 dal Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma (gli intertitoli sono in italiano). La lista si allunga con L’espulsione (Die Austreibung) (1923) un medio-metraggio di 40 minuti in cui, sullo sfondo di un’ambientazione rurale, si consumava un tradimento coniugale ai danni di un anziano fattore.
Nemmeno quanto girato in terra statunitense dopo l’approdo a Hollywood è giunto integro fino ai giorni nostri; all’appello manca infatti I Quattro Diavoli (4 Devils) (1928), basato sull’omonimo romanzo di Herman Bang e prodotto dalla Fox, che si intromise prepotentemente nel progetto, modificandone il finale e ripresentando il film nelle sale l’anno successivo con l’aggiunta del sonoro, ingerenze che portarono Murnau ad abbandonare poi la Compagnia. In totale all’appello mancano 9 film. La perdita di un patrimonio incalcolabile che, unitamente alla prematura scomparsa del regista nel 1931 a causa di un incidente automobilistico, ci ha privati della possibilità di conoscere appieno, come avrebbe meritato, questo grande artista che ci ha lasciato comunque tantissimo. La sfortuna evidentemente non ha smesso di perseguitarlo neppure dopo la morte: notizia di pochi mesi fa la profanazione della sua tomba di famiglia da parte di ignoti che ne hanno trafugato il cranio.
 
In chiusura vi lascio con i 13 minuti superstiti di Marizza. Buona visione.
 
 
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giovedì 10 settembre 2015

Murnau, i capolavori perduti (2° parte): Il Ragazzo in Blu e Satana




Facciamo un piccolo passo indietro. La sfortuna, infatti, ha perseguitato l’eredità cinematografica di Murnau già dal 1919, anno del suo lungometraggio d’esordio, Il ragazzo in blu (Der Knabe in blau) andato perduto irrimediabilmente (a parte 35 piccoli frammenti conservati dalla Deutsche Kinemathek). Questo primo film, il cui titolo è ispirato all’omonimo dipinto di Thomas Gainsborough ma è conosciuto anche come Der Todessmaragd (Lo Smeraldo della Morte), raccontava di un castello in cui aleggia un’antica maledizione, legata appunto a uno smeraldo portatore di sventura agli antenati del protagonista, ultimo discendente di un’antica famiglia nobiliare caduta in disgrazia. 
Condannata all’oblio anche la pellicola successiva, Satana (Satanas), composta da 3 episodi ambientati in epoche differenti. Operazione che ricorda quella già sperimentata quasi un decennio prima dal nostrano Luigi Maggi (ne abbiamo accennato qui) e che verrà ripresa un anno dopo da C.T. Dreyer con il suo Pagine dal libro di Satana (di cui avremo modo di parlare tra qualche tempo), senza dimenticare la probabile influenza esercitata da Intolerance di D.W. Griffith (ma qui usciamo dal seminato). La prima parte, “Il Tiranno”, era ambientata nell’Antico Egitto, dove si intrecciavano amori e tradimenti alla corte del faraone Amenhotep; la seconda, “Il Principe”, era liberamente tratta dal dramma Lucrezia Borgia di Victor Hugo; l’ultima, “Il Conquistatore”, raccontava invece di un giovane poeta di Zurigo, Hans, che dopo aver conosciuto un rivoluzionario russo di nome Grodski, si fa influenzare dagli ideali di questi fino a scegliere di condannare a morte la sua fidanzata, sacrificando l’amore per il potere.
Filo conduttore di tutta l’opera è ovviamente Satana, nascosto sotto le mentite spoglie di uno dei personaggi per poi rivelarsi alla fine di ogni episodio, interpretato da Conrad Veidt, (menzionato già parecchie volte su queste pagine) che avrebbe avuto ancora modo di lavorare con Murnau, come abbiamo visto. La recitazione di Veidt fu tra i pregi che la critica dell’epoca attribuì al film, insieme alla sceneggiatura di Robert Wiene (altro nome ricorrente su questi lidi), ai costumi, all’atmosfera e alla fotografia di Karl Freund, oltre ovviamente alla regia. Purtroppo di tutto ciò non resta che una minuscola scena de “Il Tiranno”, miracolosamente sopravvissuta, un minuto scarso non privo di erotismo come potete ammirare qui sotto:



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