Il Re dell’Inferno invia il demone
Barbariccia sulla Terra per cercare di procacciare anime e portare Maciste nell’Aldilà.
Il piano fallisce, ma dopo varie peripezie l’eroe cade ugualmente in una
trappola dell’astuto Barbariccia. Giunto all’Inferno, si scaglia contro le
legioni demoniache finendo però prigioniero e vittima, nonostante i ripetuti avvertimenti, della
maledizione di un bacio che trasformerà anche lui in un diavolo.
Il personaggio
di Maciste nasce cinematograficamente nel 1914 con Cabiria, considerato il più grande kolossal della storia del cinema
muto italiano. Il successo ottenuto spinge alcuni produttori a realizzare una
vera e propria saga, nel corso della quale Maciste, sempre interpretato dal
possente Bartolomeo Pagano, dismessi i panni di eroe mitologico, affronta una
serie di improbabili avventure non più ambientate nell’antichità, ma nel XX
secolo. Arrivano così in sala titoli che oggi, nella migliore delle ipotesi,
fanno sorridere; tra i tanti, ricordiamo Maciste
Bersagliere, Maciste Alpino, Maciste Poliziotto e persino Maciste Medium, per un totale di quasi
30 film. Il successo all’epoca fu comunque grande, tanto che attore e
personaggio divennero uno dei simboli del regime fascista, anche se Pagano,
uomo semplice e di umili origini, non era certo interessato a questioni
politiche. Maciste all’inferno si
colloca in questo contesto storico, presentandosi come uno degli ultimi capitoli
della saga che un anno dopo avrebbe chiuso i battenti a causa della crisi dell’industria
cinematografica italiana e delle condizioni di salute dello stesso Pagano.
La sceneggiatura
è un guazzabuglio di elementi e suggestioni, che alterna, senza soluzione di
continuità, grottesco e sentimentale, comico e drammatico, passando dall’epico
al patetico (il finale, con Maciste salvato la notte di Natale dalla
preghierina di un bambino); quasi ridicolo, poi, il povero eroe che in abiti
borghesi affronta, spaesato, le orde infernali, per non parlare della sua
trasmutazione in demone. Il film, però, si fregia di un notevole fascino proprio
nella rappresentazione dell’Inferno, che invero poco ha di quello dantesco-letterario,
citato esplicitamente nell’incipit, rifacendosi maggiormente a quello cinematografico
sperimentato quasi 15 anni prima da Giuseppe De Liguoro che a sua volta si era
ispirato (come abbiamo già avuto modo di dire in sede di recensione) alle
illustrazioni di Gustave Doré. In questo caso la fanno da padrone le
scenografie realizzate da Giulio Lombardozzi, che ricreò antri e bolge nella
suggestiva Valle dello Stura, e gli effetti speciali di Segundo de Chomon, in
alcuni casi davvero strabilianti (mi piace ricordare il piccolo demone che
gioca a palla con la sua stessa testa). Di notevole impatto anche le presenze
femminili in abiti discinti (e in alcuni fotogrammi osè ben poco vestite), che
provocarono diversi problemi con la censura che rilasciò il visto per la
distribuzione in sala solo nella primavera del 1926, anche se il film in realtà
era già stato proiettato in versione integrale quasi un anno prima durante un
concorso cinematografico tenutosi alla Fiera di Milano.
Tecnicamente
valido e visivamente interessante (da ricordare anche la pregevole fotografia),
ma la trama è un pastiche non molto
digeribile.
Curiosità: L’opera
è ricordata anche per aver appassionato Federico Fellini, che lo definì come la
prima che ricordasse di aver visto su grande schermo da bambino. Il personaggio
di Maciste venne riportato in auge negli anni 60 con una nuova serie di titoli
di genere peplum, tra cui un omonimo Maciste all’Inferno diretto dal grande
Riccardo Freda.
Reperibilità: Non facilissimo da
reperire se non nella release americana. Nel 2009 ne è stata realizzata una
versione restaurata dalla Cineteca del Comune di Bologna in collaborazione col
Museo Nazionale del cinema di Torino, ma al momento non mi risulta
commercializzata. Su Youtube sono visionabili alcune scene.
Titolo: Maciste all’inferno
Produzione:
Italia (1925), b/n, muto, 66 minuti (100 la versione restaurata, 135 quella
pre-censura)
Regia: Guido
Brignone
Cast: Bartolomeo
Pagano, Elena Sangro, Umberto Guarracino, Pauline Polaire
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