Facciamo un piccolo passo
indietro. La sfortuna, infatti, ha
perseguitato l’eredità cinematografica di Murnau già dal 1919, anno del suo
lungometraggio d’esordio, Il ragazzo in
blu (Der Knabe in blau) andato perduto irrimediabilmente (a parte 35
piccoli frammenti conservati dalla Deutsche Kinemathek). Questo primo film, il
cui titolo è ispirato all’omonimo dipinto di Thomas Gainsborough ma è conosciuto
anche come Der Todessmaragd (Lo
Smeraldo della Morte), raccontava di un castello in cui aleggia un’antica maledizione,
legata appunto a uno smeraldo portatore di sventura agli antenati del
protagonista, ultimo discendente di un’antica famiglia nobiliare caduta in
disgrazia.
Condannata all’oblio anche la pellicola successiva, Satana (Satanas), composta da 3 episodi ambientati in epoche differenti. Operazione che ricorda quella già sperimentata quasi un decennio prima dal
nostrano Luigi Maggi (ne abbiamo accennato qui) e che verrà ripresa un anno
dopo da C.T. Dreyer con il suo Pagine dal
libro di Satana (di cui avremo modo di parlare tra qualche tempo), senza dimenticare
la probabile influenza esercitata da Intolerance
di D.W. Griffith (ma qui usciamo dal seminato). La prima parte, “Il Tiranno”,
era ambientata nell’Antico Egitto, dove si intrecciavano amori e tradimenti
alla corte del faraone Amenhotep; la seconda, “Il Principe”, era liberamente
tratta dal dramma Lucrezia Borgia di
Victor Hugo; l’ultima, “Il Conquistatore”, raccontava invece di un giovane poeta
di Zurigo, Hans, che dopo aver conosciuto un rivoluzionario russo di nome
Grodski, si fa influenzare dagli ideali di questi fino a scegliere di condannare
a morte la sua fidanzata, sacrificando l’amore per il potere.
Filo conduttore
di tutta l’opera è ovviamente Satana, nascosto sotto le mentite spoglie di uno
dei personaggi per poi rivelarsi alla fine di ogni episodio, interpretato da
Conrad Veidt, (menzionato già parecchie volte su queste pagine) che avrebbe
avuto ancora modo di lavorare con Murnau, come abbiamo visto. La recitazione di
Veidt fu tra i pregi che la critica dell’epoca attribuì al film, insieme alla
sceneggiatura di Robert Wiene (altro nome ricorrente su questi lidi), ai
costumi, all’atmosfera e alla fotografia di Karl Freund, oltre ovviamente alla
regia. Purtroppo di tutto ciò non resta che una minuscola scena de “Il Tiranno”,
miracolosamente sopravvissuta, un minuto scarso non privo di erotismo come potete ammirare qui sotto:
Articoli correlati:
Nessun commento:
Posta un commento