“Praga, XVI secolo. Il rabbino Low, consultando le stelle, prevede un’imminente,
terribile, sventura per la comunità ebraica della zona. I suoi timori sembrano
trovare conferma poco tempo dopo quando viene emanato un editto imperiale che ingiunge
ai giudei di lasciare la città entro un mese. Per salvare il suo popolo e far
cambiare idea all’imperatore intrattenendolo con magiche meraviglie, il rabbino
inizia a costruire il Golem, una creatura d’argilla a cui dona la vita per
mezzo di un rituale esoterico. Il tentativo di Low va a buon fine, ma per una
serie di sfortunate coincidenze il Golem diverrà incontrollabile, portando
morte e distruzione nel ghetto”
Avevamo già avuto modo di parlare
(qui) dell’ideale trilogia dedicata al Golem, immaginario essere della
tradizione popolare ebraica, che Paul Wegener aveva voluto fortemente. Il film
in esame, l’unico della saga sopravvissuto intregro sino ai giorni nostri, si
pone come prequel ai fatti narrati nei precedenti episodi che erano ambientati
nel(l’allora) presente e si rifacevano liberamente (il primo in particolare) al
quasi contemporaneo omonimo romanzo di Gustav Meyrink.
Questo terzo capitolo
attinge invece direttamente alla leggenda della nascita del Golem nel XVI
secolo a cui lo stesso Meyrink si ispirò per la sua opera letteraria. Ancora
una volta, come nel suo lungometraggio d’esordio Lo Studente di Praga, Wegener è totalmente coinvolto nel progetto:
co-dirige a quattro mani con Carl Boese, mette lo zampino anche nella
sceneggiatura, vuole ancora una volta nel cast la compagna Lyda Salmonova e
soprattutto veste i panni dell’imponente uomo d’argilla, un ruolo che gli
rimarrà appiccicato addosso, una fortunata immedesimazione che rappresenterà
però anche un limite per la sua carriera. Altro elemento di continuità è dato
dall’ambientazione praghese che, rinunciando ad ogni pretesa di realismo, si abbandona
alla sempre suggestiva estetica espressionista grazie alle scenografie affidate
all’architetto Hans Poelzig; questi crea una cittadella ebrea quasi da fiaba, con
forme meno esasperate rispetto a quelle dei film di Wiene, ma composta da
vicoli, piazze, case sghembe con finestre asimettriche che evocano un’atmosfera irreale, atta a
fare da sfondo agli straordinari accadimenti che vi avverranno. Peculiare anche
l’interno della casa del rabbino Low, dai sotterranei in cui viene pian piano
plasmato il Golem, fino ai piani superiori, di forme quasi “organiche” e a cui si accede per mezzo di una bizzara scala a chiocciola, con
annesso osservatorio astronomico. La prima parte della pellicola è invero meno
interessante, anche se propedeutica a introdurre la leggenda e a suggerire i
potenziali rischi connessi alla creazione dell’automa d’argilla. Il film entra
nel vivo con quella che è senza dubbio la scena più potente, nonché
sorprendente considerati i mezzi tecnici dell’epoca, ovvero l’evocazione del
demone Astaroth attraverso un rito magico in cui vennero utilizzati, come
effetti speciali, anche prodotti chimici, oltre alle più consuete
sovraimpressioni. Successivamente c’è una manciata di sequenze in cui il
confine con il ridicolo involontario è davvero sottile (mi riferisco a quelle
che vedono il Golem utilizzato come tuttofare, persino come fattorino per fare
la spesa!), ma sono pochi minuti che non fanno danni, anzi fanno da preludio alla
seconda parte dove il ritmo diventa maggiormente sostenuto.
Qui si rivela l’importanza
seminale del film con idee di cui il cinema americano, in prima linea James
Whale con il suo Frankenstein del
1931, saprà fare tesoro: l’andatura goffa e il lento incedere del mostro, il
rogo finale, la scena con la bambina, la sofferenza della creatura per la
propria condizione che suscita pietà al di là della paura. Non è il Golem, infatti,
ma la grettezza dell’animo umano, incarnata dalla gelosia del servitore del
tempio quando scopre che la figlia del rabbino è stata deflorata dal Conte
Floriano (passatemi l’imperdonabile gioco di parole!), a causare il precipitare
degli eventi. Non a caso solo la purezza di spirito di una bimba può mettere
fine alla ribellione della creatura, come puntualmente avviene nello struggente
finale.
Fondamentale.
Reperibilità: Conosciuto anche con il sottotitolo, L’uomo d’argilla, è facilmente
reperibile su Youtube con intertitoli in italiano. In commercio ci sono diverse
edizioni import a prezzi accessibili.
Titolo:
Der Golem, wie er in die Welt kam
Produzione:
Germania (1920), b/n, muto, 91 minuti
Regia: Carl Boese, Paul Wegener
Cast: Paul Wegener, Albert Steinruck, Lyda
Salmonova, Max Kronert
Nessun commento:
Posta un commento