“Secondo un’antica leggenda scandinava, l’ultima
persona che muore appena prima dello scoccare della mezzanotte del 31 dicembre è
incaricato, per tutto l’anno successivo, di condurre il carro su cui, per
ordine della Morte, vengono trasportate le anime dei trapassati. L’ingrato
compito tocca a David Holm, malato di tubercolosi, alcolista autodistruttivo e
peccatore impenitente con un passato da galeotto e un presente violento verso
la moglie, perito a seguito di una rissa”.
L’importanza e
l’influenza artistica del Carretto
Fantasma sono probabilmente incalcolabili. Il cinema scandinavo gli è
debitore, Bergman in particolare ma non solo; penso ad esempio a quanto il
personaggio di Edith con la sua bontà e fede smisurati assomigli a quello di Beth
delle Onde del Destino di Lars Von
Trier. L’imprevisto successo internazionale della pellicola ne sparse poi i
semi non solo nel resto d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, spalancando al
regista le porte di Hollywood e facendo germogliare insospettabili frutti anche
molti anni dopo; su tutti da ricordare Stanley Kubrick, che in Shining replicò, omaggiandola, la scena
della porta abbattuta a colpi d’ascia dal marito mentre la moglie cerca di
mettersi in fuga. Sjöström, come poi Nicholson, fu bravissimo a dare corpo e
volto all’odioso protagonista. Ma i suoi meriti non si arrestano certo alla
recitazione, anzi. Partendo dalla trasposizione dell’omonimo romanzo di Selma
Lagerlöf, nella cui trama risiedono evidenti elementi dickensiani, il regista
seppe realizzare un fortunato connubio tra le influenze dell’espressionismo
tedesco (la propensione per il macabro e il surreale, le atmosfere) e quelle
realiste tipiche del cinema svedese, riscontrabili anche nella
caratterizzazione dei personaggi (tra cui spicca quella, tormentata, della
moglie di Holm magistralmente interpretata da Hilda Borgström). Forte è il
messaggio moralizzatore lanciato, se pur attraverso il filtro di una
religiosità quasi ingenua a rappresentare l’ancora di salvezza, che dipinge una
società fredda e ingrata in cui la dignità umana si disgrega, rendendo le
persone vittime o carnefici, divise dalla brutalità, accumunate dalla follia.
Al di là del rigore formale e del sottotesto, quello che stupisce davvero del
film è innanzitutto la modernità del linguaggio cinematografico. Sjöström opta
per un tipo di narrazione tutt’altro che lineare, facendo ampio uso di
flashback (e di flashback nel flashback) che sovrappongono in continuazione i
piani cronologici della vicenda. E stupiscono poi gli innovativi effetti
speciali che rappresentano l’evoluzione ultima della multi-esposizione
inventata oltre un ventennio prima da Méliès; incredibile l’illusione quasi
tridimensionale dei fantasmi e del lugubre carretto che all’epoca non aveva
eguali né simili e che certamente lasciò gli spettatori a bocca aperta, regalando
loro un brivido di soprannaturale all’interno di uno straordinario poetico
racconto di degradazione e redenzione. Tra le scene più suggestive, da
menzionare obbligatoriamente quella in cui l’anima di Holm cerca di rifugiarsi
nel suo corpo ormai esanime.
E’ un peccato
che questa sia un’opera meno conosciuta e celebrata di altre dello stesso
periodo, perché non v’è dubbio che, con la sua portata innovativa, costituisca
un tassello imprescindibile nella storia del cinema muto e oltre.
Reperibilità: Ottima.
Liberamente visionabile su Youtube. In DVD si trova facilmente l’edizione
italiana della Ermitage a prezzi stracciati. Ci sono anche parecchie edizioni
straniere per tutti i gusti, anche in Blu-Ray.
Titolo: Körkarlen
Produzione:
Svezia (1921), b/n, muto, 93 minuti
Regia: Victor Sjöström
Cast: Victor Sjöström, Astrid Holm, Tore Svennberg,
Hilda Borgström
In coda vi lascio con un video che mette a confronto le due versioni (Sjöström vs Kubrick) della famosa scena dell'ascia.
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