Roderick Usher, un nobile preoccupato per la
sempre più cagionevole salute della moglie assistita notte e giorno dal suo
medico personale, invita l’amico Allan presso la sua sinistra magione. Questi
riesce a raggiungere la meta malgrado la riluttanza della popolazione locale e cerca di dare conforto all’amico che nel
frattempo, buttatosi anima e corpo nella passione della pittura, sta dipingendo
un ritratto della consorte. Quest’ultima però sembra perdere forza vitale ad
ogni pennellata.
Dopo Belfagor, rimaniamo in terra francese
per raccontare un’opera completamente diversa. La Chute de la Maison Usher è forse, con buona pace di Roger
Corman, la miglior trasposizione cinematografica di un racconto di Edgar Allan
Poe, anche se sarebbe più corretto usare il plurale. La Casa Usher del titolo,
infatti, non è l’unico lavoro dello scrittore originario di Boston a essere, non troppo
fedelmente, omaggiato, perché nella trama è innestata anche buona parte del Ritratto Ovale (la moglie che deperisce
sempre più al progredire del dipinto); si rinvengono pure influssi di Ligeia (la resurrezione), mentre le
teorie del magnetismo studiate da Roderick per tentare di guarire la consorte
rimandano evidentemente a Rivelazione
Mesmerica e al Valdemar. Autore
della sceneggiatura, oltre al regista Jean Epstein, è un allora giovane spagnolo
destinato a lasciare un’impronta importante nella storia della settima arte:
Luis Buñuel, fresco di trasferimento a Parigi per seguire Salvador Dalì e gli
altri surrealisti che aveva conosciuto all’Università di Madrid. Buñuel che,
salvo un paio di brevi comparsate da attore, era praticamente all’esordio nell’ambiente.
Più esperto era invece Epstein, alfiere e teorico del cinema avanguardista
francese, nonché poeta e romanziere, che con questo film firmò il suo personale
capolavoro. La Caduta di Casa Usher
stupisce per freschezza e visionarietà e per come riesce a spremere fino
all’ultimo le potenzialità del muto la cui fine era ormai prossima. Si tratta
di un’opera sperimentale per i tempi, con un uso quasi moderno della macchina
da presa, che riesce a creare un’atmosfera spettrale, malinconica, da fine
imminente, per mezzo delle riprese sia in esterna (gli alberi spogli sferzati
dal vento, il maniero avvolto dalla nebbia) che negli interni (le carrellate dei
corridoi claustrofobici e decadenti, l’algido salone principale,
l’ectoplasmatico sventolio delle tende), alternando campi lunghi e primi piani
sofferti. Epstein riesce a superare diversi limiti tecnici dell’epoca, regalando
inquadrature insolite e innovative che verranno riprese in seguito da altri
cineasti, anche in periodi imprevedibilmente recenti. Certo, esposizioni
multiple e sovrapposizioni si erano già viste, ma, per esempio, inusuale, anche
se già inventato un paio di decenni prima, è l’impiego dello slow-motion per
sottolineare la drammaticità di alcuni passaggi della vicenda e per condurre lo
spettatore in uno stato di trance simile a quello di cui finisce vittima la
moglie di Roderick. Epstein concentra tutti i suoi sforzi sull’immagine anziché
sul racconto, che in certi momenti sembra infatti procedere per inerzia,
riuscendo così paradossalmente ad essere più fedele al mood onirico e ipnotico
delle opere di Poe di quanto non lo sia la sceneggiatura. Tra gli attori, da
ricordare l’interpretazione intensa e allucinata di Jean Debucourt nei panni
del padrone di casa.
Un film sorprendentemente
affascinante e raffinato, per certi versi rivoluzionario.
Reperibilità: Ottima. In DVD e
Blu-Ray si trovano numerose edizioni, tra cui quella italiana della Dynit
DCult. E’ inoltre liberamente visionabile su Youtube.
Titolo: La Chute de la Maison Usher
Produzione:
Francia (1928), b/n, muto, 61 minuti
Regia: Jean Epstein
Cast: Jean Debucourt, Margheurite Gance, Charles
Lamy, Fournez-Goffard
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