L’annata 1928 ha consegnato
intatto ai posteri un solo vero horror, La
Caduta della Casa Usher, di cui abbiamo appena parlato. Ho ritenuto
opportuno, quindi, come già successo per il 1921, menzionare brevemente alcune altre
pellicole che, per una ragione o l’altra, sono meritevoli di citazione su
questo blog. Partiamo da un film perduto, The
Terror, produzione Warner Bros per la regia di Roy Del Ruth, primo horror “sonoro”
della storia e da alcuni ritenuto addirittura il primo prototipo di slasher
movie. A leggere la trama parrebbe più corretto inserirlo, invece, nel filone
delle old dark house considerate le
similitudini con altre pellicole quali The
Bat di Roland West: gli ospiti di una vecchia magione inglese adibita ad
albergo vengono minacciati da un misterioso killer, soprannominato appunto The
Terror, di cui nessuno conosce l’identità. Basato su un romanzo del prolifico giallista
Edgar Wallace, ricevette dai contemporanei critiche non esattamente lusinghiere
che lo condannarono con tutta probabilità all’oblio. Nel 1934 la Warner
produsse poi The Return of Terror che,
malgrado il richiamo nel titolo, non è un sequel del film di Del Ruth, anche se
la sorte di cui godette fu pressappoco la stessa del suo ideale predecessore.
Passando ad altri generi, ma con elementi di nostro interesse, è doveroso
citare L’Uomo che Ride (The Man Who Laughs) il capolavoro girato
da Paul Leni (ormai trasferitosi in terra americana) per la Universal e tratto dall’omonimo
romanzo di Victor Hugo. La storia narra le peripezie del figlio di un nobile,
Gwynplaine, il cui volto è stato sfigurato in modo che le sue labbra appaiano
perennemente contratte in un agghiacciante sorriso clownesco. Il protagonista
era interpretato dal solito, immenso, Conrad Veidt anche se invero la prima
scelta del regista avrebbe dovuto essere Lon Chaney, nel frattempo passato però
sotto contratto con la MGM. Veidt indossò una protesi formata da denti e ganci
metallici, particolarmente scomoda, che gli impediva persino di parlare, per
dare vita all’eterno beffardo sorriso di Gwynplaine. Una maschera drammatica,
ma anche inquietante, da film horror appunto. Il suo aspetto fu anche d’ispirazione
per la creazione di Joker, l’arcinemico di Batman. Trama e protagonista hanno
avuto influssi oltre che nel fumetto, anche nella letteratura (penso a Tiziano
Sclavi in ambedue le ipotesi, ad esempio) e ovviamente nel cinema (l’ultimo
omaggio, in ordine di tempo, è in Balada
Triste de Trompeta di Alex de La Iglesia).
Torniamo in Europa, precisamente
in Germania ove l’epopea espressionista aveva ormai terminato la sua parabola,
per parlare di Alraune, da noi
conosciuto con il titolo La Mandragora,
tratto dall’omonimo romanzo di Hanns Heinz Ewers. Nella produzione troviamo
coinvolti un paio di nomi più volte citati nelle precedenti recensioni: Henrik
Galeen alla regia e Paul Wegener quale protagonista maschile, in un ruolo, già
rodato, da mad doctor. A lasciare il segno qui è però la protagonista
femminile, l’affascinate Brigitte Helm, reduce dal doppio ruolo di Maria-Donna
Robot nell’immortale Metropolis di
Fritz Lang. La storia, in netto anticipo sui tempi, parla di inseminazione
artificiale e esperimenti di genetica: il professor Ten Brinken feconda una
prostituta con il seme di un assassino condannato all’impiccagione, allo scopo
di verificare se il figlio nato da quest’unione erediti i vizi dei genitori. A
venire al mondo è una femminuccia, chiamata Alraune, che cresce all’oscuro
delle sue origini, ritenendo Ten Brinken suo padre biologico e mostrando grande
intelligenza unita a un carattere ribelle; quando la ragazza scopre la verità,
atterrita dalla consapevolezza di essere solo il frutto di un esperimento, giura
vendetta al suo creatore. Alla vicenda, una sorta di fusione tra il mito di
Frankenstein e quello dell’Homunculus, manca solo un pizzico di cattiveria per
essere ascritta al genere horror; tuttavia ritengo meriti la visione, anche
perché facilmente reperibile su youtube ove è stato caricato un vetusto passaggio
televisivo su Rai Due. Nel 1930 ne fu, tra l’altro, realizzato un remake sonoro,
sempre con Brigitte Helms nei panni di Alraune.
L’ultima tappa del nostro
viaggio ideale è nel Regno Unito con Sweeney
Todd di Walter West, ispirato alla leggenda di Benjamin Barker, meglio
conosciuto come “il diabolico barbiere di Fleet Street”, portata su grande
schermo, in tempi decisamente più recenti, anche da Tim Burton. La trama
promette gole tagliate a colpi di rasoio e cadaveri dei clienti usati come
pasticci di carne. Peccato però che, benché il film di West non sia andato
perduto come il primo Sweeney Todd
del 1926, l’unica copia esistente sia detenuta dal British Film Institute che
finora non l’ha né commercializzata né messa a disposizione per il pubblico.
Dare un giudizio sull’opera è pertanto impossibile, almeno per ora.