“Un uomo si prende cura del nipote rimasto orfano alla nascita, affezionandosene
quasi morbosamente più che a un figlio. Il suo atteggiamento iper-protettivo lo
porta però a ostacolare la storia d’amore tra il suo pupillo e una giovane da
poco conosciuta. Il nipote inizierà allora a pensare all’omicidio dello zio
come unica soluzione ai suoi problemi”.
Il regista David Wark Griffith e
Edgar Allan Poe si erano già incontrati 3 anni prima nel cortometraggio “The
Sealed Room” (ne avevamo parlato qui). Stavolta l’ispirazione è doppia: vengono
esplicitamente citati la poesia “Annabel Lee” e “Il cuore rivelatore”, uno dei
racconti più celebri dello scrittore originario di Boston. Non è però l’orrore
il fine ultimo ricercato da Griffith in questo film che anticipa di un anno “Nascita
di una nazione”, il suo discusso capolavoro, ma l’indagine della natura umana,
capace per necessità di compiere anche le azioni più turpi. Così bisogna
scontare una prima parte quasi soporifera prima che la pellicola entri finalmente
nel vivo, quando al protagonista balza in mente l’idea di sbarazzarsi dello zio
dando il via libera a una serie di immagini fortemente simboliche (un ragno che
intrappola e aggredisce una mosca, formiche che divorano un’ape, ecc..).
L’intenzione del delitto genera una trasformazione caratteriale, quasi somatica nel nipote (interpretato da un ottimo Henry Walthall) e scatena una serie di allucinazioni che sembrano condurlo, minuto dopo minuto, in un irreversibile baratro di follia. Colpisce, in particolare, il fantasma dello zio che esce dal caminetto a tormentare la coscienza del suo assassino, come succedeva al protagonista del “Cuore rivelatore” ossessionato dai battiti cardiaci della sua vittima. Purtroppo Griffith non ha il coraggio, o la volontà, di percorrere fino in fondo questa strada, scegliendo nel finale di rimettere in discussione tutto e mantenendo sì l’approccio simbolico, ma abbracciando una lieta conclusione della vicenda a scapito di quella mortalmente tragica offerta qualche scena prima. Peccato perché effetti speciali e montaggio testimoniano una maturità avanguardista del regista che avrebbe potuto proiettare la pellicola nell’olimpo dei grandi horror del cinema muto. Buona la prova degli attori; oltre al già citato Walthall, menzione d’onore per Spottiswoode Aitken nei panni dell’antipaticissimo zio dall’occhio bendato.
L’intenzione del delitto genera una trasformazione caratteriale, quasi somatica nel nipote (interpretato da un ottimo Henry Walthall) e scatena una serie di allucinazioni che sembrano condurlo, minuto dopo minuto, in un irreversibile baratro di follia. Colpisce, in particolare, il fantasma dello zio che esce dal caminetto a tormentare la coscienza del suo assassino, come succedeva al protagonista del “Cuore rivelatore” ossessionato dai battiti cardiaci della sua vittima. Purtroppo Griffith non ha il coraggio, o la volontà, di percorrere fino in fondo questa strada, scegliendo nel finale di rimettere in discussione tutto e mantenendo sì l’approccio simbolico, ma abbracciando una lieta conclusione della vicenda a scapito di quella mortalmente tragica offerta qualche scena prima. Peccato perché effetti speciali e montaggio testimoniano una maturità avanguardista del regista che avrebbe potuto proiettare la pellicola nell’olimpo dei grandi horror del cinema muto. Buona la prova degli attori; oltre al già citato Walthall, menzione d’onore per Spottiswoode Aitken nei panni dell’antipaticissimo zio dall’occhio bendato.
In conclusione, un’occasione
persa di realizzare uno spaventoso affresco della metà oscura dell’animo umano.
La parte centrale del film è ottima, il finale insostenibile (almeno per un horror fan).
Reperibilità: Buona. Il film, precedentemente conosciuto nel
nostro Paese con il titolo “Ragnatela”,
è stato recentemente editato in DVD dalla Ermitage Cinema, con sottotitoli in
italiano.
Titolo: The Avenging Coscience
Produzione: USA (1914), b/n,
muto, 78 minuti
Regia: D.W. Griffith
Cast: Henry B. Walthall, Spottiswoode Aitken, Blanche
Sweet, George Siegmann
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