lunedì 27 aprile 2015

Lo studente di Praga (1913)







“Baldovino, uno studente di modeste origini, si innamora di una giovane contessa promessa in sposa al cugino. Per migliorare la propria condizione socio- economica e cercare di entrare nelle grazie della famiglia di lei, accetta un patto con un poco raccomandabile personaggio, il Dottor Scapinelli, che, in cambio di un’ingente somma di denaro, chiede semplicemente di appropriarsi di qualunque cosa si trovi nell’umile appartamento dello studente. Pensando di aver concluso l’affare della vita, Baldovino accetta, ignorando che l’accordo include proprio tutto.. anche la sua immagine riflessa nello specchio”.

Voluto fortemente da Paul Wegener, che lo produsse, interpretò come protagonista e lo co-diresse assieme al regista danese Stellan Rye, “Lo studente di Praga” è considerato come il primo vero e proprio esempio di lungometraggio di genere horror-fantastico. Rispetto ai pionieristici esperimenti degli anni precedenti, infatti, lo scopo non appare più (solo) quello di meravigliare lo spettatore ma (anche) di raccontare una storia, con una solida base narrativa e una morale. Potremmo definirla una forma embrionale di innovativo cinema “d’autore” che attinge da fonti letterarie “alte” (E.T.A. Hoffman, anche se i modelli di fondo sono il classico patto con il diavolo, alla Faust, e il Doppelganger della tradizione popolare tedesca) e, al contempo, utilizza i più sofisticati effetti speciali che la tecnologia dell’epoca potesse permettere.
La realizzazione del malvagio “riflesso” che perseguita Baldovino, sorprendentemente efficace ancora oggi, si deve alla tecnica della doppia esposizione messa a punto dal direttore della fotografia, Guido Seeber, un vero mago degli effetti ottici. Anche gli attori si dimostrano all’altezza di sceneggiatura e comparto tecnico. Wegener, destinato a diventare in breve tempo un divo del cinema muto tedesco, è forse un po’ stagionato per vestire i panni di uno studente, ma compensa risultando credibile e inquietante nella sua controparte malvagia. Chi si distingue di più, però, è John Gottowt nella parte, volutamente sopra le righe, del mefistofelico Scapinelli. Questo tipo di recitazione "caricata" è anche uno dei motivi per cui il film è ritenuto un precursore del movimento espressionista tedesco; manca però del tutto l’estetica che caratterizzerà buona parte dei lavori di Murnau, Lang, Wiene e soci. Quest’attribuzione è dunque legata principalmente alla portata avanguardista della pellicola di Rye che riscosse un immediato successo, tant’è che negli anni successivi ne vennero prodotti due remake: il primo diretto da Henrik Galeen nel 1923 e il secondo, con l’avvento del sonoro, firmato da Artur Robison nel 1935.
In conclusione, una tappa imprescindibile nella genesi del cinema horror, anche se la componente drammatico-romantica ha ancora un peso notevole nell’economia della vicenda. Notevole il finale.

Reperibilità: Buona. Il film è visionabile su youtube, mentre in commercio c’è un DVD edizione import della Alpha Video con sottotitoli in inglese. Nel 2013 è stata realizzata una nuova versione restaurata per opera del Fillmmuseum di Monaco di Baviera che al momento non risultata editata in DVD o BluRay.

Titolo: Der Student Von Prag
Produzione: Germania (1913), b/n, muto, 57 minuti
Regia: Stellan Rye
Cast: Paul Wegener, John Gottowt, Grete Berger, Lyda Salmonova

mercoledì 22 aprile 2015

Dossier: Le Origini del Male - 3° parte (1912)



Dopo il successo dell’”Inferno”, il cinema italiano tornò a sfiorare tematiche simili con “Satana – Il dramma dell’umanità” diretto da Luigi Maggi nel 1912 e oggi purtroppo perduto (rimane un frammento di appena 8 minuti conservato al National Film and Television Archive di Londra). Il film, dichiaratamente ispirato ai poemi epici “Paradiso Perduto” di John Milton e “La Messiade” di Friedrich Gottlieb Klopstock, era però diviso in 4 atti autoconclusivi che potevano essere proiettati (come avvenne con successo negli Stati Uniti) anche singolarmente. Gli episodi, ambientati in epoche diverse, narrano di Satana, della sua lotta con il Creatore e dei suoi tentativi (sempre riusciti) di tentare e corrompere gli uomini. Al di là degli intenti teologici e morali dell’opera, l’esiguo materiale fotografico sopravvissuto testimonia che il film di Maggi avrebbe avuto da offrire pane per i denti di ogni horrofilo.


Altro lungometraggio di cui si sono perse le tracce è l’austriaco “Trilby”, pellicola a episodi prodotta dalla neonata Kinofilms e diretta dai 4 fondatori di quest’ultima: i fratelli Luise e Claude Veltée, Anton Kolm e Jacob Fleck. Ad oggi risulta irreperibile, senza neppure cenni sulla trama; non ci rimane che un po’ di gossip: Luise Veltèe, conosciuta per essere la seconda donna regista della storia dopo la francese Alice Guy, fu moglie prima di Kolm e in seguito di Fleck, suoi soci in affari.
Anche in Scandinavia, a testimonianza di un fermento che si stava espandendo a macchia d’olio in tutta Europa, uscirono nello stesso anno alcune opere interessanti, almeno sulla carta. Si tratta di tre film sui vampiri, i primi in materia dopo "Le Manoir du Diable", di cui, tanto per cambiare, nulla è sopravvissuto: “Vampyren” produzione svedese diretta da Mauritz Stiller e i danesi “Vampyr Tanzerinnen” e “Danse Vampiresque” di cui rimangono a malapena i titoli.
Negli States, invece, erano sempre le trasposizioni dei classici della letteratura gotica a farla da padrone. Tra più volte rappresentati il primato va a Robert Louis Stevenson e al suo celeberrimo romanzo “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde”, un best seller già all’epoca; una prima trasposizione, andata perduta, risale già al 1908, ad opera di Otis Turner, che utilizzò lo stesso cast di attori di un’omonima riduzione teatrale andata in scena poco tempo prima, così come perduta è la versione girata nello stesso anno da Sidney Olcott. Il più vecchio adattamento americano di “Dr.Jekyll & Mr. Hyde”, conservatosi fino ad oggi, risulta pertanto essere quello del 1912 per la regia di Lucius Henderson: trama ovviamente ridotta all’osso per essere condensata in 12 minuti, ma encomiabile anche qui il trucco applicato all’attore James Cruze per vestire i panni di Hyde, oltre a quelli del dottore. 



Lunga oltre il doppio l’ennesima versione, uscita l’anno successivo e diretta questa volta da Herbert Brenon; nonostante il maggior tempo a disposizione e un cast che poteva contare sulla presenza di un attore allora famosissimo come King Baggot, la versione di Henderson, più concisa ed efficace, si lascia preferire sia per il make up, sia per la qualità complessiva del girato.


 
Si avvicinava, intanto, l’uscita del film considerato il precursore del movimento espressionista tedesco che tanto avrebbe significato anche nel genere horror e fantastico in generale: “Lo Studente di Praga” di cui avremo modo di parlare a breve.

domenica 19 aprile 2015

L'inferno (1911)






“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”. Con questi versi immortali inizia l’immaginario viaggio di Dante Alighieri nei gironi infernali, accompagnato dall’anima del poeta Virgilio. Il film ripercorre fedelmente i principali fatti narrati nella prima cantica della Divina Commedia.

Il primo vero lungometraggio italiano fu un clamoroso successo internazionale fin dalla prima proiezione avvenuta a Napoli nel marzo del 1911. Artefice principale di questo incredibile reperto fu il partenopeo Giuseppe De Liguoro (con la collaborazione dei letterati Bertolini e Padovan), pioniere cinematografico con un passato da attore e regista teatrale prima di passare nel 1908 al mondo della celluloide, guarda caso con un cortometraggio sulla storia del Conte Ugolino. L’ambizioso progetto, prodotto dalla Milano Films, fu realizzato mediante la composizione di 54 scene dichiaratamente ispirate alle fantastiche illustrazioni di  Gustave Doré dedicate alla Divina Commedia. Le sequenze si presentano infatti come una successione di quadri animati in cui Dante e Virgilio incontrano i dannati ospitati nei vari gironi.
La ripetitività di questa formula, che a lungo può tediare, è mitigata dalle scenografie azzeccate (grandiosi paesaggi montani o rocciosi, avvolti perennemente da fumo) e dai notevoli, per l’epoca, effetti speciali, realizzati in gran parte, attraverso giochi di prospettive, con la tecnica della sovraimpressione o semplicemente attraverso il montaggio. Venne fatto ampio uso anche di espedienti teatrali, come le funi, per far volare alcuni personaggi. Gli elementi puramente horror non mancano; da ricordare, in particolare: Pluto rappresentato come un enorme diavolo posto a guardia del girone degli avari, Maometto col petto squarciato e Bertran De Born con in mano la propria testa mozzata come una lanterna nella bolgia dei seminatori di discordie, Lucifero intento a masticare un dannato nel finale. Il trio alla regia dimostrò di possedere non solo tecnica (si può notare, tra l’altro, anche il ricorso al flashback), ma anche talento visivo: la magnificenza della rappresentazione, a cui contribuì il cospicuo numero di comparse utilizzate per vestire i panni delle anime sottoposte ai supplizi infernali, rende la pellicola una sorta di viaggio onirico e surreale, inframezzato da didascalie impreziosite dai più celebri versi danteschi, esteticamente interessante anche per lo spettatore odierno. Nella versione restaurata nel 2002 questa componente visionaria è ancora più accentuata dalla colonna sonora dei Tangerine Dream che produce un effetto straniante per quanto risulta in contrasto con le immagini di sottofondo. Meno estrema, ma più variegata la via scelta dalla Cineteca di Bologna, che ha curato il restauro edito nel 2011 in occasione del centenario dell’uscita del film, proponendo una classica composizione per pianoforte in alternativa a uno score musicale elettro-acustico composto da Edison Studio.
In conclusione, visione consigliata soprattutto per il valore storico e per la meraviglia di ammirare un’opera tanto datata quanto innovativa a livello visivo, tenendo però conto che difetta quasi completamente di tessuto narrativo cinematografico.

Reperibilità: Ottima. Il DVD della versione restaurata dalla Cineteca di Bologna si trova facilmente in vendita a un prezzo medio di € 14,90. Buona la reperibilità in commercio anche dell’antecedente versione musicata dai Tangerine Dream.


Titolo: L’inferno
Produzione: Italia (1911), b/n, muto, 68 minuti
Regia: Giuseppe De Liguoro, Francesco Bertolini, Adolfo Padovan
Cast: Salvatore Papa, Arturo Pirovano, Giuseppe De Liguoro, Augusto Milla


mercoledì 15 aprile 2015

Dossier: Le Origini del Male - 2° parte (1900-1910)



Il nuovo secolo vide l’horror sbarcare finalmente anche negli Stati Uniti per merito di un regista destinato in seguito a diventare uno tra i più influenti pionieri cinematografici d’oltreoceano: Edwin Stanton Porter, autore in carriera di oltre 250 pellicole. Per la verità il suo esordio risale al 1898 con l’oggi irreperibile “The Cavalier’s Dream”, ma è con il suo ingresso nella società di produzione di Thomas Edison l’anno seguente che ebbe modo di mettersi in luce, seguendo inizialmente le orme di Méliès, la cui influenza si rivelò preponderante nella realizzazione di effetti speciali, dissolvenze e tecniche di montaggio. Ce ne si può rendere conto guardando “Faust and Marguerite” (1900) un corto di circa un minuto ispirato al “Faust” di Goethe, che, al di là dei suoi enormi limiti e dei dubbi risultati qualitativi, riveste l’importanza storica di essere l’horror a stelle e strisce più vecchio giunto fino a noi, oltre che il primo del ventesimo secolo.


L’interesse per i temi della letteratura gotica e fantastica caratterizzò il lavoro di altri connazionali di Porter. Ispirato al racconto “Il barile di Amontillado” di Edgar Allan Poe (e alla novella “La Grande Bretèche” di Balzac), è “The Sealed Room” (1909) di David W. Griffith; trattasi di un cortometraggio di 11 minuti, decisamente più strutturato rispetto ai precedenti esperimenti fin qui analizzati: una trama vera e propria (la vendetta di un re ai danni della sua favorita e del di lei amante), un’immagine più ferma e nitida, un maggior numero di comparse e finalmente più di una location. I risultati rimangono modesti, ma il progresso è tangibile. 


Dal novero delle fonti di ispirazione non poteva mancare Mary Shelley. Il primo “Frankenstein”(1910) cinematografico della storia è una libera trasposizione, scritta e diretta da James Searle Dawley, che può vantare una suggestiva scena dell’esperimento del Barone (una sorta di rituale alchemico in cui il Mostro prende forma da una massa fumante e scheletrica) e un interessante make-up della creatura interpretata dal caratterista Charles Ogle che costituirà, a suo modo, un modello per le successive incarnazioni. Anche Quasimodo, il deforme gobbo campanaro del romanzo “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo fu protagonista di numerosi cortometraggi, prodotti non solo negli Stati Uniti, sebbene più drammatici che spaventosi.


Nel frattempo l’Europa non stava a guardare. Il solito Méliès continuava la sua instancabile produzione, anche se si avvicinava l'imprevedibile prematuro declino culminato con la bancarotta della sua società cinematografica nel 1913. Da ricordare, di quest’ultimo ancora fortunato periodo, “Le Chaudron Infernal” per una curiosità recente. Il regista francese aveva realizzato due negativi della pellicola, una per il mercato interno e l’altra per quello estero, al fine di arginare le ripetute azioni di pirateria ai suoi danni da parte dei produttori americani; questo ha permesso pochi anni fa di realizzarne, grazie all’interesse della casa di produzione transalpina Lobster Films, addirittura una versione 3D mediante la semplice combinazione delle due versioni.


I tempi comunque sembravano ormai maturi per la realizzazione del primo lungometraggio orrorifico. Certezza su quale sia stato il primo non sussiste. Sono parecchie le pellicole che, per i più svariati motivi, sono andate perdute nel corso del tempo e su alcune di esse non è possibile reperire alcuna informazione. Il primato però potrebbe essere tutto italiano e risalire già al 1911 con l’uscita di “L’inferno”, diretto dal trio De Liguoro-Bertolini-Padovan, vero e proprio kolossal pensato come trasposizione della prima cantica della Divina Commedia di Dante Alighieri. Avrò modo di approfondire in un’apposita recensione.