Un misterioso artista di strada, “maestro”
delle ombre cinesi, si presenta alla porta della dimora di un nobile dove è in
corso una cena di gala. Il padrone di casa, gelosissimo della moglie, è
ossessionato dall’idea che qualcuno degli invitati possa mettere le mani sulla
sua signora; tanto più che la donna non sembra insensibile alle avances dei
suoi corteggiatori. L’intrattenitore, manipolando le ombre dei presenti, mostra
però loro cosa potrebbe succedere se dessero libero sfogo alle proprie
pulsioni.
Ombre Ammonitrici è un formidabile esempio
di quanto il cinema espressionista tedesco fosse sinonimo di libertà creativa. Pur
considerato un’opera minore a confronto dei contemporanei Nosferatu e Caligari, è anch’esso un film che, grazie alla forza evocativa
delle immagini riesce a sopperire alla limitatezza comunicativa imposta dal
livello tecnico dell’epoca del muto e del bianco e nero; anzi, proprio nel tentativo di
sfuggire a tali limiti sta, probabilmente, la sua portata innovativa.
Protagoniste assolute sono qui le ombre che rivelano le paure, i sentimenti e i
turbamenti dei protagonisti. La pellicola stessa è concepita come un inusuale
teatro su cui si allungano le ombre, componendo forme per nulla casuali.
Ancora una volta, infatti, l’espressionismo si fonde con la psicanalisi,
sublimando ed esteriorizzando le emozioni dei personaggi che, se assecondate,
li condurrebbero a tragiche conseguenze: il marito, reso folle dalla gelosia,
costringerebbe per vendetta i suoi rivali a trafiggere a fil di spada la
consorte infedele. Mentre dimensione onirica e reale si sovrappongono, emerge anche il tema del doppio: l’ombra come lato oscuro dell’anima, dove si
nascondono i pensieri più turpi e pericolosi dell’inconscio. Tormenti amorosi,
istinti omicidi, erotismo esplicito sono dunque gli ingredienti principali utilizzati
dal regista Arthur Robison, autore anche dello script insieme a Rudolf
Schneider e Albin Grau. Robison, nato in America da genitori tedeschi di
origine ebrea, si trasferì prestissimo in Germania dove studiò medicina all’Università
di Monaco di Baviera, prima di dedicarsi al teatro e poi al cinema. I suoi studi
e le teorie di Carl Jung si rivelarono probabilmente determinanti nell’inserimento
di implicazioni psicanalitiche nella trama. Fu però, a quanto si dice, Grau,
già produttore, art director e costume designer del Nosferatu di Murnau, ad avere l’idea principale, ispirato da un’illustrazione
del libro “The Dogma and Ritual of High Magic” di Eliphas Levi.
Reduci da Nosferatu erano anche due elementi del
cast: Alexander Granach e Gustav Von Wangenheim, interpreti rispettivamente del
maestro di ombre e dell’amante della nobildonna, mentre nel film di Murnau
avevano indossati i panni di Knock/Renfield e Hutter/Harker. Il più convincente
è però Fritz Kortner, il nobile protagonista, con una recitazione sopra le
righe che oscura quella degli altri attori, più di stampo teatrale. Peccato per il lieto fine che rischia di declassare il tutto a una banale morale. L'impostazione teatrale con cui la vicenda viene rappresentata denota, inoltre, poca dimestichezza con il linguaggio cinematografico da parte di Robison.
Al di là di questi limiti, Ombre Ammonitrici è un’opera poco conosciuta che merità di essere riscoperta.
Reperibilità: E’ tranquillamente
visionabile su Youtube (cercatelo con il titolo originale o quello inglese
“Warning Shadows”). In DVD non è facilissimo da trovare, ma esiste un’edizione
USA della sempre fornita Kino Video, non proprio a buon mercato. In rete è
reperibile anche una versione con intertitoli italiani, di cui ignoro
provenienza.
Titolo: Schatten
– Eine Nächtliche Halluzination
Produzione:
Germania (1923), b/n, muto, 90 minuti
Regia: Arthur Robison
Cast: Alexander Granach, Fritz Kortner, Ruth Weyer,
Gustav Von Wangenheim