Un musicista orribilmente sfigurato vive
nascosto nei sotterranei del Teatro dell’Opera di Parigi, fomentando la
leggenda di un misterioso fantasma che si aggirerebbe per l’edificio. Innamoratosi
della bella cantante Christine, sentimentalmente legata però al Visconte Raoul
de Chagny, decide di portarla al successo con qualsiasi mezzo, anche attentando
alla vita di Carlotta, la prima stella del Teatro.
Dopo il
clamoroso successo del Gobbo di Notre
Dame, la casa di produzione Universal ritentò il colpo, sfornando un altro
kolossal che ne riproponeva gli stessi elementi vincenti: la trasposizione di
un romanzo molto popolare sempre di ambientazione parigina (l’omonimo Fantasma dell’Opera di Gaston Leroux), una
scenografia maestosa (l’immenso Teatro dell’Opera che fu ricostruito
interamente in studio!) e gli stessi protagonisti maschili (Norman Kerry
chiamato ancora una volta a vestire i panni dell’eroe “buono” e il mitico Lon
Chaney in quelli del “mostro” di turno); dal Gobbo venne ripresa materialmente anche la Cattedrale, che si può
ammirare in una sequenza nella parte finale. La produzione ebbe comunque
qualche problema: il regista Rupert Julian abbandonò il set quasi al termine
delle riprese, lasciando l’incombenza di girare le scene restanti allo stesso
Chaney e a Edward Sedgwick (altre vennero successivamente aggiunte da Ernst
Laemmle, in occasione della riedizione sonora del film pochi anni più tardi).
Nonostante ciò, il risultato finale, a parte qualche piccola pecca di
sceneggiatura, rimane straordinario e regalò alla Universal l’ennesimo successo
commerciale. I pochi lati negativi sono rappresentati dal tono eccessivamente
comico dell’incipit e dalla costruzione non perfettamente compiuta del
personaggio di Erik. Rimane, infatti, appena abbozzato il discorso sul “diverso”
che aveva invece trovato compiutezza nella figura di Quasimodo. Si perdono, di
conseguenza, le implicazioni romantico-drammatiche dell’innamoramento del “Fantasma”
che, malgrado le premesse iniziali, viene in sostanza presentato come un pazzo
omicida; scelta comunque tutt’altro che disprezzabile in termini puramente
orrorifici. Passando agli aspetti positivi c’è in primis obbligo di
citazione per due scene evocative che devono essere annoverate di diritto tra
le migliori della storia del Cinema muto: quella in cui Christine toglie la
maschera a Erik mentre suona l’organo, rivelandone l’orrendo volto deforme, e
quella (girata in Technicolor bicromatico) in cui lo stesso Erik discende la
scalinata mascherato da Morte Rossa, presumibilmente la stessa dell’omonimo
racconto di E.A. Poe, durante la festa in costume.
Notevolissima comunque anche
la scena della caduta del lampadario, con tanto di ripresa area del pubblico in
galleria che verrà imitata più volte negli anni a venire. Ciò che però rende Il
Fantasma dell’Opera un classico del cinema horror, capace di ispirare anche
registi moderni come Brian De Palma, Dario Argento e Sam Raimi, è l’interpretazione
istrionica di Lon Chaney che ancora una volta non esitò a mettere dura prova il
suo fisico per rendere credibile la deformità del suo personaggio. Usò delle
strisce di materiale trasparente per tenere alzata la punta del naso
(espediente che in un caso gli procurò un abbondante sanguinamento), mise sugli
occhi membrane d’uovo per accentuare lo sguardo vitreo, alterò gli zigomi con
del cotone e infine si fece incollare le orecchie alla testa. Il risultato
fu così terribilmente realistico da far svenire, si racconta, diverse persone
al cinema; persino la macchina da presa, nella fatidica scena della rivelazione
del volto, sembra quasi atterrita di fronte a quello spettacolo andando fuori
fuoco per qualche istante. Altro punto di forza sono le tetre scenografie dei sotterranei
del Teatro e del nascondiglio del Fantasma, piene di trabocchetti e passaggi
segreti, che anticipano la lunga stagione del gotico cinematografico che farà
la fortuna della Universal prima e della Hammer molto più tardi. Strepitose
anche le musiche.
Un classico
ineguagliabile, il cui fascino, dopo oltre 90 anni, resta immutato.
Reperibilità: Ottima. C’è l’imbarazzo
della scelta, tra edizioni italiane ed estere, che ripropongono alcune delle tante versioni in cui il fim è circolato negli anni.
Titolo: The Phantom of The Opera
Produzione:
USA (1925), b/n + technicolor, muto, 93 minuti (variabili a seconda della versione)
Regia: Rupert
Julian (con scene girate dai non accreditati Lon Chaney, Edward Sedgwick, Ernst
Laemmle)
Cast: Lon Chaney, Mary Philbin, Norman Kerry,
Arthur Edmund Carewe