martedì 29 marzo 2016

Il Fantasma dell'Opera (1925)



 

Un musicista orribilmente sfigurato vive nascosto nei sotterranei del Teatro dell’Opera di Parigi, fomentando la leggenda di un misterioso fantasma che si aggirerebbe per l’edificio. Innamoratosi della bella cantante Christine, sentimentalmente legata però al Visconte Raoul de Chagny, decide di portarla al successo con qualsiasi mezzo, anche attentando alla vita di Carlotta, la prima stella del Teatro.

Dopo il clamoroso successo del Gobbo di Notre Dame, la casa di produzione Universal ritentò il colpo, sfornando un altro kolossal che ne riproponeva gli stessi elementi vincenti: la trasposizione di un romanzo molto popolare sempre di ambientazione parigina (l’omonimo Fantasma dell’Opera di Gaston Leroux), una scenografia maestosa (l’immenso Teatro dell’Opera che fu ricostruito interamente in studio!) e gli stessi protagonisti maschili (Norman Kerry chiamato ancora una volta a vestire i panni dell’eroe “buono” e il mitico Lon Chaney in quelli del “mostro” di turno); dal Gobbo venne ripresa materialmente anche la Cattedrale, che si può ammirare in una sequenza nella parte finale. La produzione ebbe comunque qualche problema: il regista Rupert Julian abbandonò il set quasi al termine delle riprese, lasciando l’incombenza di girare le scene restanti allo stesso Chaney e a Edward Sedgwick (altre vennero successivamente aggiunte da Ernst Laemmle, in occasione della riedizione sonora del film pochi anni più tardi). Nonostante ciò, il risultato finale, a parte qualche piccola pecca di sceneggiatura, rimane straordinario e regalò alla Universal l’ennesimo successo commerciale. I pochi lati negativi sono rappresentati dal tono eccessivamente comico dell’incipit e dalla costruzione non perfettamente compiuta del personaggio di Erik. Rimane, infatti, appena abbozzato il discorso sul “diverso” che aveva invece trovato compiutezza nella figura di Quasimodo. Si perdono, di conseguenza, le implicazioni romantico-drammatiche dell’innamoramento del “Fantasma” che, malgrado le premesse iniziali, viene in sostanza presentato come un pazzo omicida; scelta comunque tutt’altro che disprezzabile in termini puramente orrorifici. Passando agli aspetti positivi c’è in primis obbligo di citazione per due scene evocative che devono essere annoverate di diritto tra le migliori della storia del Cinema muto: quella in cui Christine toglie la maschera a Erik mentre suona l’organo, rivelandone l’orrendo volto deforme, e quella (girata in Technicolor bicromatico) in cui lo stesso Erik discende la scalinata mascherato da Morte Rossa, presumibilmente la stessa dell’omonimo racconto di E.A. Poe, durante la festa in costume.
Notevolissima comunque anche la scena della caduta del lampadario, con tanto di ripresa area del pubblico in galleria che verrà imitata più volte negli anni a venire. Ciò che però rende Il Fantasma dell’Opera un classico del cinema horror, capace di ispirare anche registi moderni come Brian De Palma, Dario Argento e Sam Raimi, è l’interpretazione istrionica di Lon Chaney che ancora una volta non esitò a mettere dura prova il suo fisico per rendere credibile la deformità del suo personaggio. Usò delle strisce di materiale trasparente per tenere alzata la punta del naso (espediente che in un caso gli procurò un abbondante sanguinamento), mise sugli occhi membrane d’uovo per accentuare lo sguardo vitreo, alterò gli zigomi con del cotone e infine si fece incollare le orecchie alla testa. Il risultato fu così terribilmente realistico da far svenire, si racconta, diverse persone al cinema; persino la macchina da presa, nella fatidica scena della rivelazione del volto, sembra quasi atterrita di fronte a quello spettacolo andando fuori fuoco per qualche istante. Altro punto di forza sono le tetre scenografie dei sotterranei del Teatro e del nascondiglio del Fantasma, piene di trabocchetti e passaggi segreti, che anticipano la lunga stagione del gotico cinematografico che farà la fortuna della Universal prima e della Hammer molto più tardi. Strepitose anche le musiche.

Un classico ineguagliabile, il cui fascino, dopo oltre 90 anni, resta immutato.

Reperibilità: Ottima. C’è l’imbarazzo della scelta, tra edizioni italiane ed estere, che ripropongono alcune delle tante versioni in cui il fim è circolato negli anni.

Titolo: The Phantom of The Opera
Produzione: USA (1925), b/n + technicolor, muto, 93 minuti (variabili a seconda della versione)
Regia: Rupert Julian (con scene girate dai non accreditati Lon Chaney, Edward Sedgwick, Ernst Laemmle)
Cast: Lon Chaney, Mary Philbin, Norman Kerry, Arthur Edmund Carewe


domenica 27 marzo 2016

Il Gabinetto delle figure di cera (1924)



Uno scrittore viene invitato dal proprietario di un museo delle cere a realizzare alcuni racconti ispirati alla vita dei personaggi immortalati nelle statue esposte. Il primo, ambientato a Baghdad, ha per protagonista il califfo Harun Al-Rashid intento a insidiare la giovane moglie di un fornaio; il secondo è dedicato allo zar Ivan il Terribile che finisce col cadere vittima della sua stessa sadica passione per le torture. L’ultimo racconto è in realtà un incubo dello scrittore che sogna di cadere vittima di Jack lo Squartatore, mentre cerca di fuggire con la figlia del proprietario del museo.

Se il Caligari di Robert Wiene è universalmente riconosciuto come il manifesto del cinema espressionista tedesco, un altro Gabinetto, quello delle Figure di Cera diretto da Paul Leni, è invece spesso considerato da molti (che probabilmente si dimenticano di Metropolis di Lang) come il film che concluse idealmente l’epopea di quel movimento avanguardista. Quel che è certo è che la pellicola di Leni, rispetto alla cupezza e alla drammaticità rinvenibile nei lavori dei suoi più illustri colleghi contemporanei, ha uno spirito più leggero, particolarmente evidente nel primo episodio, quello dedicato al califfo, connotato da toni quasi comici e fiabeschi, complice anche l’ambientazione da “mille e una notte”. Si intuisce una ricerca all’intrattenimento puro più che l’ aspirazione a un risultato artistico, tendenza che se sottrae qualcosa allo spettatore dal punto di vista narrativo, lo ripaga in termini di divertimento, grazie al buon ritmo impresso allo storytelling. I tre racconti, d’altronde, sono proposti in crescendo e si nota già un deciso cambio di passo tra il primo e il secondo, quello dedicato a Ivan Il Terribile magistralmente interpretato da un Conrad Veidt spiritato e crudele al punto giusto. 
Ma è il brevissimo, onirico, episodio finale, quello con protagonista Jack Lo Squartatore, a spingere il film in pieno territorio horror e ad alzare il livello fino a sfiorare le vette più alte dell’Espressionismo: un incubo angosciante, visivamente straordinario grazie all’utilizzo di filtri e della tecnica della doppia esposizione, un caleidoscopio spiazzante dove si mescolano realtà e fantasia. Nel complesso notevoli i costumi e soprattutto le scenografie, deformate e barocche, che ripropongono lo stile allucinato in voga all’epoca, spiccando in particolare, anche per quanto riguarda gli interni, nell’ambientazione esotica di Baghdad. Molto buono il cast, in particolare un irriconoscibile Emil Jannings nei panni extra-large di Harun Al-Rashid e il solito grandissimo Veidt. La regia di Leni, invece, è più convenzionale rispetto a quella dei suoi colleghi connazionali, ma comunque convincente e al passo coi progressi tecnici dell’epoca: stupisce, tra i tanti espedienti utilizzati, la scena in cui l’immagine sconvolta del fornaio si riflette nei tanti esagoni di cui si compone la pietra preziosa che orna l’anello del Califfo. Rimane, forse poco sfruttata (finale a parte) la “cornice” ambientata nel museo delle cere, che avrebbe potuto regalare un contesto più inquietante a chiusura dei 3 racconti.
In conclusione, una pellicola piacevole, visivamente affascinante e capace di fondere macabro e grottesco, pur rappresentando un’opera minore all’interno di quello straordinario luna park dell’orrore che fu l’Espressionismo tedesco, in cui, comunque, ha piena cittadinanza l’incubo di Jack lo Squartatore.
Curiosità: Il film, noto anche con il titolo di Tre Amori Fantastici, doveva prevedere in origine anche un quarto episodio dedicato al romanzo d'avventura Rinaldo Rinaldini (opera di Christian August Vulpius, cognato di Goethe), poi non realizzato per problemi di budget. 

Reperibilità: Buona. Esistono diverse edizioni DVD, anche italiane, tra cui segnalo quella della DCult che ne propone la versione restaurata a prezzo decisamente accessibile.

Titolo: Das Wachsfigurenkabinett
Produzione: Germania (1924), b/n, muto, 83 minuti
Regia: Paul Leni
Cast: Conrad Veidt, Emil Jannings, William Dieterle, Werner Krauss